venerdì 16 novembre 2007

[Tonolec è un duo argentino composto da Charo Bogarin e Diego Perez. Il loro lavoro musicale è solo agli inizi, ma già costituisce un'esperienza imprescindibile quando si guarda alla nuova musica argentina che lavora a partire dalle tradizioni locali. Charo e Diego, entrambi compositori, hanno trovato il loro "diamanate grezzo" nella musica degli indios Toba. Diego suona il computer, Charo le sue corde vocali e quella (unica) del violino toba nvique.]

MUSICA CON RADICI

intervista realizzata l'8 maggio 2007

Dario: Come vi siete conosciuti, e come è nato Tonolec?

Diego: Charo è nata nella provincia di Formosa, io a Resistencia in Chaco. L’ho sentita cantare a una festa, mi è piaciuta la sua voce, m’è rimasta come registrata, così l’ho contattata e già dal primo giorno in cui ci siamo visti abbiamo iniziato a cantare insieme… Facevamo pop elettronico, pensa un po’! Tutto è stato molto rapido: avevamo solo 5 canzoni e già davamo concerti. Poi siamo venuti a sapere di un concorso di MTV e ne abbiamo mandata una: abbiamo vinto. Il premio era un viaggio in Spagna per suonare. Questo viaggio per noi è stato anche un movimento interno, perché ascoltando quello che si faceva nel resto del mondo ci siamo resi conto che la nostra musica in realtà non era molto nostra, non aveva un’identità propria, era come troppo globalizzata. Siamo tornati in Argentina in piena crisi del 2001, manifestazioni, saccheggi, morti. E ci siamo sentiti “in crisi” anche noi, e abbiamo iniziato a cercare. Siamo inciampati in un’antologia che aveva una canzone degli indios Toba che ci ha colpito, così abbiamo preso contatto con le comunità toba del Chaco e le cose pian piano sono cresciute. Abbiamo continuato investigando finché non ci siamo resi conto che tutto il suono che cercavamo era lì, e abbiamo iniziato a preparare il disco sull’idea di una fusione toba-elettronica.

Charo: Tonolec nasce da una crisi che abbiamo avuto noi, sia artistica che personale, che è capitata in contemporanea con la crisi del 2001. Una crisi cosmica, una crisi mondiale: tutta una crisi, su tutti i piani! [ride] Con Diego cercavamo una forma di trovare la nostra propria voce, volevamo che la gente quando ci ascoltava intendesse da dove proveniamo. Per questo è stato necessario guardarci intorno e trovare le nostre radici. Quello che cercavamo era una musica con radici: se fossimo stati di Buenos Aires saremmo potuti arrivare al tango (già esiste un tango elettronico); essendo di provincia, saremmo potuti arrivare a zambas, chacareras o altri ritmi popolari argentini; però siamo andati ancora oltre e ci siamo incontrati con la musica aborigena dei Toba. I Toba sono l’unica comunità aborigena argentina ad avere istituito un coro antropologico, ed è fantastico perché ascoltandoli ci siamo resi conto che avevamo un diamante grezzo a due passi da casa. Era quello che cercavamo e non ce ne eravamo mai resi conto. Quando abbiamo deciso di lavorare sulla fusione toba-elettronica ci siamo anche resi conto che non potevamo solo ascoltare una registrazione e remixarla. Anche se già vivevamo a Buenos Aires abbiamo deciso di tornare lì, prendere contatto con il coro, e ci siamo integrati alle loro ronde di canto e di ballo. Questo è stato il nostro ingresso nel mondo toba, nella loro musica ma in qualche modo anche nella loro forma di vita.

Diego: Nonostante questo, abbiamo al contempo cercato di rimanere vicini a quello che noi siamo, alla nostra formazione. Di qui siamo arrivati alla fusione: non abbiamo voluto fare quello che fanno loro, ci sentiamo parte dello stesso paesaggio del Chaco dove sono loro, ma siamo anche altro. Siamo tecnologia, siamo anche altre musiche che abbiamo ascoltato e fatto negli anni. E tutto questo abbiamo cercato di farlo emergere nel sound che caratterizza Tonolec. Cercavamo una fusione integrale.

Charo: Sì, musicalmente questo abbiamo cercato realizzarlo facendo in modo che gli elementi etnici suonassero elettronici, e quelli elettronici suonassero organici. Questo, per esempio, si può raggiungere facendo in modo che un embiké (violino di latta a una sola corda) suoni loopado, con un’attitudine che loro non gli danno. E facendo che il modo di comporre al computer di Diego suoni in qualche modo con una tessitura organica.

Diego: Raggiungere questo ci è costato abbastanza, non è stato facile.

Dario: Lo immagino. Spesso le fusioni tra musica organica e elettronica rimangono superficiale, nel vostro caso però si nota una profondità che non tutti riescono a raggiungere.

Diego: Ce l’hanno detto in molti. Spesso dopo i concerti si avvicinano persone che ci dicono di non aver mai amato l’elettronica, ma che la nostra musica li ha colpiti positivamente. Per me questo succede perché non prendiamo l’elettronica come uno scopo, come qualcosa che deve imporsi, ma come un mezzo per far arrivare più lontano la nostra immaginazione.

Dario: Un’impressione che ho avuto è che la musica toba si presti abbastanza ad essere rimaneggiata elettronicamente. Ha una sonorità ipnotica.

Charo: Sì, non credo che sia solo la toba a prestarsi a questo tipo di trattamento ma in generale molta la musica etnica. Perché ci sono coincidenze tra i due tipi di musica: paradossalmente, l’etnico e l’elettronico sono vicini nella struttura. Per esempio, la circolarità è propria della musica toba come del cuore dell’elettronica, il loop. Questo elemento in comune ci ha aiutato a rendere la fusione più profonda. Non passa solo nella musica toba, ma anche con i mantra e con una gran quantità di musica tradizionale.

Diego: La ripetizione, la circolarità, sono piene di significato nella musica toba e hanno a che vedere con il religioso. Questo è interessante, perché permette di riempire l’elettronica di un contenuto che solitamente non ha… L’elettronica, in realtà, è un tipo di musica molto carente di contenuto: è soprattutto un’architettura, uno strumento che ha bisogno di uno scopo.

Charo: L’elettronica è un vaso, nient’altro. E un vaso ha un senso solo se viene riempito di qualcosa.

[…]

Dario: Guardando agli ultimi decenni di musica popolare, e soprattutto di mercato musicale, mi vengono in mente due poli con i quali in qualche modo Tonolec deve aver dovuto fare i conti. Uno è la cosiddetta musica “new age”, che per quanto sia poco più di un cartello commerciale esprime un bisogno di fusione tra radici ancestrali e modernità che è anche al cuore della vostra musica. L’altro è la musica folk argentina, non solo Atahualpa Yupanqui o Mercedes Sosa ma tutta l’industria che ha fatto della musica tradizionale quello che qui viene chiamato semplicemente “il folklore”.

Diego: Ci interessa tutto quello che ha a che fare con la terra. Non ci interessiamo tanto del marketing, delle collocazioni discografiche. Quello che ci interessa di più è essere coerenti con quello che sentiamo e ci interessa tutto quello che ha a che fare con il folklore.

Charo: Non stiamo su nessuna sponda, a dire il vero. Non possiamo stare dentro quello che oggi si intende quando si dice il “folklore argentino” (anche se ovviamente siamo parte del folklore argentino, nel senso più corretto del termine), e ancor meno su quella del new age. Francamente è la prima volta che ci sentiamo mettere in mezzo il new age!

Diego: A noi interessa la musica, in fondo dove ci mette il mercato non ci riguarda così tanto… Però quello che è successo con Tonolec è che hanno iniziato a invitarci in festival di nuove tendenze del folklore e in festival di nuove tendenze dell’elettronica, e questo è bello.

Charo: Ora, se la gente vuole sapere dove trovare il nostro disco nei negozi ci può trovare nel settore “world music”!

Dario: Bè, in “elettronica” non so ma io vi ho trovato in “folklore”… non ho guardato il reparto “new age”, ma attenti che potreste finirci! [risa] A parte gli scherzi, il fatto è che nel tipo di poetica dei vostri testi, nell’immagine delle comunità indigene come vicine alla natura, come alternative ecosostenibili agli obbrobri della contemporaneità, in un qualche modo vi avvicinate a certe posizioni “new age” – detto tra molte virgolette…

Diego: Sì, ma il fatto è che il new age è stato fatto perché la gente tornata dall’ufficio si sdrai sul divano e metta su un disco per rilassarsi… però sì, capisco quello che vuoi dire: la nostra ricerca ci ha portato a rivalutare la natura, la comunicazione semplice tra le persone, i tempi dilatati al di fuori dell’urbanizzazione. A rivalutare la musica: perché spesso questa è vissuta con leggerezza, della serie accendo la radio e ascolto quello che mi capita, ma in realtà ha anche fare con il religioso, con i ritmi della natura, della vita umana. E tutto questo lo abbiamo rivalutato attraverso Tonolec.

Charo: Bene: sul fronte del new age l’abbiamo scampata! Ora vediamo come ce la caviamo su quello del folklore… [risa]

Dario: Vediamo: per esempio Indio Toba è una canzone ben militante. Racconta la realtà difficile in cui si trovano a vivere le comunità indigene oggi. E non lo fa rappresentandole al di fuori del mondo moderno, ma evidenziando il modo contraddittorio con cui si rapportano alla modernità. La domanda è se vi sentite in qualche modo parte della tradizione militante della musica latinoamericana.

Charo: Tonolec è ancora un germoglio, ma la speranza è che un domani, quando diventerà un albero, possa far parte di questa tradizione folklorica. Perché se tu vuoi essere parte di un luogo, nel nostro caso Argentina, devi essere parte del folklore. La musica indigena è folklore: ma non è considerata tale oggi, perché al folklore si sono attribuiti altri significati. Sarebbe bello se si riuscisse a voltare pagina in questo, e a vedere la musica indigena come parte di un panorama “argentino”, senza discontinuità.

Diego: Il problema è che perché questo succeda l’intera società argentina dovrebbe cambiare dall’interno. Però qualcosa sta succedendo, tanto che ci hanno invitati al festival di Cosquín.

Dario: E questo è molto significativo perché Cosquín, oltre ad essere meraviglioso per chi ama il folklore argentino, è anche il palco più tradizionalista del paese. Volendo fare un paragone per il pubblico italiano, Cosquín sta al folklore come Sanremo alla canzone italiana.

Charo: Sì, da questo punto di vista siamo nati sotto una buona stella. Ascoltando le esperienze di altri artisti del nuovo folklore, noi siamo gli unici a non esser stati traumatizzati da una ricezione fredda, nel migliore dei casi. Siamo andati a Cosquín, e nonostante una certa incertezza nostra e da parte degli organizzatori, quando abbiamo finito di suonare sono stati solo applausi. Noi stessi non ce l’aspettavamo.

Diego: Credo fosse la prima volta che sul palco di Cosquín venisse posato un computer portatile!

Dario: A proposito, visto che parli di “artisti del nuovo folklore”, secondo voi si può parlare di un movimento del nuovo folklore argentino?

Diego: Sì. C’è un nuovo sguardo verso le radici. C’è una specie di revisionismo folklorico, forse derivato proprio dalla crisi, che ci ha spinto a guardarci dentro. L’Argentina è un paese che sta ancora cercando la sua identità, siamo una mescolanza di migranti e di aborigeni. Abbiamo sempre voluto assomigliare alla Francia, alla Spagna, all’Italia, all’Inghilterra… Sarmiento, che è uno dei nostri eroi nazionali, uccideva gli indios e voleva far emigrare qui più inglesi possibili affinché si riproducessero. C’è stato davvero di tutto, e solo ora si sta cercando di trovare una vera identità che non sia cercare di assomigliare a qualcosa che non siamo. La verità è che c’è molta gente che sta cercando di trovare una via argentina all’identità, artisti di tutti i tipi: artisti plastici, figurativi, letterati. Vari ci hanno scritto per dirci che gli piace quello che facciamo e che ci vedono coincidenze con quello che fanno loro. È bello che succeda questo in Argentina, un paese profondamente esterofilo, e prima o poi doveva succedere che si iniziasse a guardare davvero quello che ci sta più vicino.

Dario: E riguardo alla scena di questo nuovo movimento, è tutto Buenos Aires?

Charo: In buona parte sì, perché Buenos Aires è la vetrina imprescindibile del paese. Se un musicista vuole vivere della sua musica, deve venire qui per venderla. Sono pochissimi quelli che riescono a vivere della musica rimanendo in provincia, tra quelli del nuovo folklore mi viene in mente Mariana Carrizo, a Salta, e Raly Barrionuevo a Santiago del Estero. Ma sono casi che si contano quasi sulle dita di una mano, perché se vuoi apparire devi metterti in vetrina. È la triste realtà.